In molti dei cartoni di maggior successo le storie non sono mai solo storie, né tanto meno solo per bambini. Infatti veicolano, con più o meno spessore ed efficacia, dei valori fondamentali utili per qualsiasi età. Vi è però un cartone in particolare che, per antonomasia, è il distruttore delle fiabe e dei suoi stereotipi. E non solo. Un cartone rivoluzionario dei primi anni 2000, con un antieroe innovativo per il campo d’animazione che con la giusta dose di arroganza e sfrontatezza sbancò i botteghini dell’epoca. Oggi è portatore di un valore aggiunto: ci fa riflettere una volta in più su cosa vuol dire integrarsi e le conseguenze nel suo fallimento. Ovviamente mi riferisco a Shrek.

Questa non-fiaba si veste di rock e, ancor prima di combattere la ridondanza delle fiabe, cerca di combattere qualcosa che probabilmente ai bambini non colpisce direttamente, ma resta dormiente nei meandri dell’inconscio: l’accettazione del diverso in un contesto sociale, verosimilmente, riconoscibile.
Poco più di vent’anni fa, il 15 giugno 2001, il cartone sbarca in Italia. Il giorno dopo, il 16 giugno, ma di trent’anni prima, nasce il noto rapper Tupac, icona dell’antirazzismo che ci avrebbe fatto riflettere tutti, con le urla e la grinta dei veri artisti hip hop, sui difficili contesti in cui vivono le persone emarginate. Lo stesso problema che ha Shrek, lo stesso problema a cui assistiamo ancora oggi. «I see no changes» (non vedo cambiamenti) cantava Tupac aka Makaveli, vent’anni fa. Possiamo ribadirlo pure ora.
Infatti, vent’anni dopo, siamo punto a capo. In questi ultimi anni abbiamo assistito all’ennesimo vile caso di violenza a sfondo razzista che ha visto coinvolto un uomo nero di nome George Floyd, e alla conseguente ondata di proteste globali accompagnate da cartelli e hashtag con lo slogan “Black Lives Matter” (le vite dei neri contano).
Si gioca sul filo di un rasoio della sottile linea tra quella che è una protesta civile, su una problematica universalmente condivisa, e lo sfogo violento (talvolta forse eccessivo) di un’intera rabbia etnica repressa.
Ma tanti atti vandalici sono davvero gratuiti e insensati come tanti iniziano a vociferare? Certo, capire è diverso da giustificare e questo articolo si limiterà al primo caso, ma forse molte persone non elaborano certe dinamiche socio-culturali che stanno alla base di queste proteste. Le stesse dinamiche che deve affrontare Shrek.

In ogni caso, l’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che tra Shrek e George Floyd solo uno ha avuto la facoltà di reagire.
Shrek è il classico orco dell’immaginario collettivo: grosso, lercio e cattivo al punto giusto, ovviamente sbiadito in una sfumatura accettabile per un cartone destinato anche ai bambini. Vive in una palude isolato dal resto del mondo, si lava beatamente con il fango, improvvisa dal nulla delle artistiche candele fatte col suo cerume fresco e fa piazza pulita di chiunque entri nel suo territorio.
All’inizio del film, una manciata di uomini desiderosi di estirpare quel bosco, decide di fare un raid punitivo. Si trovano, però, impotenti una volta arrivati al suo cospetto. Non è questo l’evento scatenante del film, ma lo è per questo articolo.
Shrek, di fatto, mai si lamenta della sua solitudine. Anzi, ha proprio l’aria di uno che non vuole socializzare perché ormai è felice della sua rozza routine.
E allora: la solitudine è causa o conseguenza?
Il vero evento scatenante è l’arrivo di gran parte dei personaggi delle fiabe dinanzi alla sua casa, implorando aiuto. Un paradosso, no? Come se Ariel andasse a chiedere aiuto a Ursula per ripulire i fondali dai sacchetti di plastica — o qualcosa di simile.
L’orco infatti dovrà farsi carico della responsabilità di tutti i personaggi delle fiabe del mondo, vittime di esser state emarginate da Lord Farquaad, il subdolo re del regno.

Shrek, quindi, si reca al castello in compagnia del pedante mulo parlante Ciuchino come guida. Lo scopo della missione è chiedere il reintegramento dei personaggi delle fiabe nel regno, poiché occupano la sua palude. Qui, Shrek, continua ancora a far credere di essere un orco scorbutico e solitario, a cui non interessa la solidarietà e la compagnia altrui, ma solo il suo piccolo antro di melma.
Alla vista dell’orco, il re, le sue guardie e il popolo, provano esattamente il significato yiddish del nome Shrek, ossia “paura”. Il ribrezzo, il rifiuto, la paura sono dovute al suo aspetto, poiché diverso, non ordinario, in quanto mai stato prima realmente integrato fra loro.
Dopo aver vinto la sfida emanata da Lord Farquaad, Shrek accetta la sua successiva proposta: reintegrare i personaggi delle favole e quindi liberare la sua foresta, ma a patto che egli salvi una donzella dal drago che la minaccia. Shrek non ha alternative, se non accettare.
Il prossimo passo è il perfetto exemplum di cosa il film Shrek anela, ossia un cartone anticonformista, rivoluzionario e spregiudicato come le note dei classici rock che accompagnano le gesta del nostro puzzolente eroe verde. La donzella Fiona, infatti, dopo essere salvata dall’orco e trattata dallo stesso in modi “poco ortodossi”, si rivela un’esperta di arti marziali, mentre il drago che doveva essere un nemico si innamora di un asino. L’impensabile per una fiaba, accade.

Nella strada di ritorno Shrek legherà definitivamente con Ciuchino, accettando la sua compagnia e quella di Fiona. Incredibilmente, Shrek si aprirà a loro. Lui è così rude perché gli altri lo trattano con sprezzo. Lui ama la solitudine, perché gli altri l’hanno portato a essere solo. Lui, in realtà, è altruista quanto di buon cuore.
Il percorso di Shrek è solo all’inizio, ora sa di non essere più da solo e di essere accettato da qualcuno. Come pure chi viene discriminato per un tratto somatico o uno status sociale differente dal proprio, se fosse cosciente di non essere “solo”, cambierebbe probabilmente modo di approcciarsi.
Questo articolo non vuole essere un’ammorbante retorica. Vuol essere un fugace promemoria che se talvolta non capiamo le conseguenze di certe azioni non dovremmo, come prima cosa, puntare subito il dito, ma capirne le cause. E che, una volta in più, anche un antieroe come Shrek nasconde tratti realistici più di quanto si possa pensare. Di storie a noi familiari. Di storie vere nel mondo. A volte, purtroppo.