Le perigliose strade del Bene
L’importanza nella scelta di un genere cinematografico non deve essere reclusa solo alla mera attrazione scenica, o alla soddisfazione di un target verso un tipo di rappresentazione piuttosto di un’altra. Talvolta bisogna scendere nell’intimità della mente autoriale e capire che un genere è un veicolo per raggiungere con più efficacia il centro della tematica scelta, e non avrebbe potuto essere differentemente. Penny Dreadful, in questo, è un esempio recente e graffiante della lotta al senso di colpa lancinante, di un concetto biblico del perseguimento del bene e dell’ingiustizia sociale che attanaglia la società. Lo fa attraverso un mix esplosivo dei classici noir ambientati nella Londra vittoriana.
Vanessa Ives all’inizio della storia viene mostrata come una misteriosa ragazza benestante e di belle apparenze, il cui passato ha la stessa vitalità del suo presente: la colpa di aver ceduto al peccato e di aver portato la sorella alla morte apre le porte della sua anima al maligno. Infatti, da allora il male gioca con lo spirito della signorina Ives, non di rado si mostra attraverso lei, e di lei mai si vuole privare. Oltre a Vanessa, anche l’esploratore Sir Malcom Murray e il tiratore scelto Ethan Chandler portano dei fardelli pesanti.

La serie infatti ha la sottilissima intuizione di volersi servire dei mostri per trattare il rapporto di ognuno di noi con i propri peccati. I nostri mostri personali, appunto. Anche Sir Murray, oltre a un profondo senso di colpa per aver lasciato la figlia alle tenebre, ha anche quello di non aver mai amato veramente la moglie e di averla abbandonata alla depressione prima del suicidio. Anche Ethan è un uomo in fuga dal passato. La risposta a come siamo destinati ad affrontare i nostri peccati la offre proprio quest’ultimo:
«E dunque camminiamo soli…»
Ogni individuo deve affrontare i propri peccati “camminando da solo”. Questo è chiaro a tutti prima o poi nella vita. Lo è chiaro da sempre per Vanessa, la cui morsa demoniaca non le permette alcun sollievo, in nessun esorcismo, parola di conforto, sesso sfrenato o amore platonico. Talvolta, negli ultimi due casi, l’avvicinano ancor più al maligno. Come nel caso della storia d’amore con Dracula, in cui Vanessa si trova intrappolata tra l’essere soggiogata dal suo charme e l’accettazione di non esser mai appartenuta al mondo celestiale, benché la purezza non le sia stata totalmente estranea.
Il cuore della serie ci appare chiaro con l’introduzione di John Clare, alias Il mostro di Frankenstein. Il paradosso vuole che sia l’unico personaggio a non essere un mostro, quantomeno metaforicamente. Non ha rimorsi, né peccati commessi nel proprio curriculum. Ha l’innocenza e la genuinità di un bambino che non conosce il male, fintanto che non gli viene inferto, a più mandate e da chiunque. Perché la sua colpa, la sua unica colpa, è essere mostruoso all’apparenza.
Sebbene la sua linea narrativa non si incroci per la maggior parte della serie direttamente con quella di Vanessa Ives, accade che i due abbiano un fugace incontro. Vanessa riconosce in lui le stigmate di chi, come lei, attraversa abitualmente le strade della sofferenza, e gli porge una mano. Ha capito il paradosso del mostro di Frankenstein, e di conseguenza anche di Murray ed Ethan.

Alla fine la signorina Ives accetta di non essere mai stata destinata all’happy ending fiabesco. Ma il destino è caritatevole con chi è audace nel volersi redimere. Comprende che forse non è mai stata destinata alla felicità per come di norma viene intesa, ma che la sua battaglia personale è giunta finalmente al traguardo. Lascerà dunque il mondo terreno nel modo più coraggioso possibile, regalandoci qualcosa di prezioso: per sconfiggere il male che ci tormenta per un rimorso, bisogna semplicemente smettere di combattere.
Nel finale, le parole di John Clare si sostituiscono a quelle del poeta William Wordsworth:
«C’era un tempo in cui prato, bosco, e ruscello, la terra, e ogni essere comune a me sembravano ornati da una luce celestiale, la gloria e la freschezza di un sogno. Non è più com’era prima; mi giro ovunque posso, di giorno o di notte, le cose che ho visto ora non posso più vederle.
… ma c’è un albero, di molti, uno, un singolo campo che osserva dall’alto, entrambi parlano di qualcosa che è passato: la viola del pensiero ai miei piedi ripete lo stesso racconto: dov’è scappato il barlume visionario? Dove sono ora, la gloria e il sogno?»