Aggiungere ancora qualcosa di nuovo alla corposa raccolta esistente di cartoni sembrava un’impresa ardua, soprattutto vista la recente inflessione di Disney, Pixar e DreamWorks. Ma oltre qualche eccezione — vedi Luca ed Elemental — è un altro ad aver impressionato maggiormente. E non è stata una delle solite produzioni cinematografiche d’animazione a realizzarlo. Infatti, Netflix non è certo nota per unire qualità a quantità. Forse è anche questa un’eccezione, dal nome Nimona. Il nuovo cartoon punk ha sciolto i dubbi e dissipato il cielo nuvoloso per gli amanti dell’animazione. Senza scoprire l’Eldorado, il nuovo film diretto da Nick Bruno e Troy Quane e scritto da Robert L. Baird e Lloyd Taylor, ha saputo valorizzare l’omonimo fumetto ricreando un’atmosfera singolare che fonde fantascienza e fantasy, con delle corde originali di comicità che mancavano dai tempi di Shrek, riportando a gran voce e con gran sensibilità il tema del mostro nella nostra società.

Ma soprattutto, è il tema della diversità come condanna, come Spada di Damocle sulla propria esistenza, che è preponderante in questo film colorato, vivace, divertente e infine capace di far riflettere su molti aspetti in un genere ormai stagnante nel paternalismo e moralismo.
Nimona irrompe nel piccolo schermo di Netflix non facendoci rimpiangere per 100 minuti i classici del passato che hanno sbancato sul grande schermo. Una sceneggiatura ben costruita viene impreziosita di rimandi a partire dalle fiabe dei Grimm, dei Monster Movies nipponici su King Kong, Godzilla fino ad arrivare al cinema di Tim Burton. Pian piano questi dettagli si incastrano a puzzle per decostruire il classicismo della Disney. Chiaramente se aggiungiamo pure qualche riferimento a Dungeons & Dragons (il noto gioco di ruolo), si anela alla rivoluzione narrativa che è stata a suo tempo quella del prima citato Shrek.

Nimona è forte soprattutto in due cose: contenuto e forma. Cioè, in tutto. Ripropone nel design dei suoi personaggi qualcosa di accattivante, unendo il classico dell’iconografia medievale con una metropoli steampunk che attinge a un sistema di world building futuristico simile a Blade Runner, e che ci riporta a un altro prodotto recente di Netflix: Arcade.
Si percepisce il pessimismo sulla società di Quarto Potere di Welles e Quinto Elemento di Besson. Un altrove che sia trait d’union tra “familiare” e “sconosciuto”. Molte le gag, i momenti comici grazie soprattutto a Nimona stessa, una ragazzina dai poteri formidabili che con il suo spirito ribelle raccoglie l’urlo della gioventù e si accoda alla moderna disobbedienza all’ordine costituito, propria della Generazione Z.

Il sistema ha un volto paternalista, prevaricatore, bigotto. La produzione ha attinto — poco velatamente — al nostro mondo classista di cui il film si pone come parodia negativa.
C’è il tema del mostro, inteso come qualcosa di estremamente diverso, che sebbene non trasponga nelle azioni le proprie mostruosità, viene etichettato ugualmente come tale, al contrario di un soggetto simile a noi che commette realmente delle azioni efferate ma non vedrà mai la scure delle malelingue.
C’è il tema della barriera, trattato indirettamente, in modo piuttosto sottile: un’irrinunciabile barriera che ci protegge “da-cosa-non-si-è-capito”, si sa solo che viene dall’esterno.
Il diverso è una minaccia. E questo, come velatamente sottolinea il film, non è intrinseco in ogni nascituro. È dato dalla società, che in una scena in particolare trascende nel dettaglio le dimensioni delle figure genitoriali, incapaci di vedere con gli occhi puri dei bambini. C’è un piano sequenza/flashback interessante in cui Nimona, potendosi trasformare in qualsiasi essere vivente a suo piacimento, cerca di interagire con svariati animali. Sfortunatamente, poiché in qualsiasi forma mantiene comunque il suo personale colore rosa, riceve “due di picche” da chiunque. Poi incontra una ragazzina che accetta i suoi singolari poteri e con cui riuscirà a legare. Ma durerà giusto il tempo di essersi affezionata e averci creduto veramente: i genitori, vedendo le capacità di Nimona, metteranno una pulce nell’orecchio della figlia: «È un mostro, evitala!».

Nimona punta i riflettori (nel senso che fa riflettere) anche sul tema delle fake news, nel loro potere mediatico e di distorsione della realtà. Il dubbio se apprezzare la tematica o provare ribrezzo perché rispecchia la realtà avviene per esempio quando, per errore, e per combutta ai suoi danni, il cavaliere Ballister uccide la regina. Dapprima vediamo la scena dal punto di vista di Ballister e capiamo che non è lui il colpevole. Successivamente, invece, vediamo il momento del regicidio sui maxischermi del reame, dunque con il framing distorto della società che aveva già deciso di disinformare la popolazione: qui Ballister sembra il colpevole.
Dopo aver fatto zapping sempre su Netflix e aver visto magari anche Black Mirror, forse è un bel monito per spegnere la televisione. O forse no. Forse proprio per non sotterrare la testa, crearsi uno spirito critico e valutare cosa è giusto e cosa no. Soprattutto al giorno d’oggi. Orwell approverebbe, voto 10!