Go Roger, Go!
Il fine di FILMOLOGY è quello di portare a conoscenza le piccole gemme ignote al pubblico, che sia un archetipo, un prodotto di finzione o un artista “dietro le quinte”. Questo mese parleremo di un altro grande maestro della settima arte sconosciuto alla massa. Si tratta di un direttore della fotografia, di cui ammiriamo le opere da oltre trent’anni, senza magari conoscerne la paternità. Parliamo di Roger Deakins, vincitore del secondo oscar per la fotografia all’alba della recente catastrofe pandemica. Sono quattro i principali aspetti che lo hanno consegnato alla storia del cinema: la semplicità nell’interpretazione del ruolo, il valore simbolico nelle inquadrature e la profondità delle sue riprese. Il tutto con una restituzione più realistica. Ciò che pochi sanno, sono i piccoli segreti che gli hanno garantito questo successo.

Britannico e pittore di nascita, ben presto viene ammaliato dalla fotografia e si trasferisce all’ombra della Hollywood Sign, a L.A. Mostra il suo talento girando un documentario sulla sua città, Torquay, e lavorando come cameraman per diversi altri documentari. Iniziare con i documentari gli ha permesso di imparare ad illuminare una scena in modo rapido e talvolta economico, oltre a contraddistinguersi per la semplicità artistica e l’applicazione — passatemi la sommarietà del termine — poco moderna del suo ruolo. Roger si costruisce da solo la sua attrezzatura e, soprattutto agli albori della carriera, per illuminare la scena ha utilizzato lampade da casa (stratagemma che usa tuttora). Piuttosto famoso per gli addetti del settore il suo “anello a nido d’ape” sul quale sistema una corona di lampadine per illuminare i grandi spazi interni. Inoltre, ciò che lo distingue dalla maggior parte dei suoi colleghi è che preferisce utilizzare la camera in prima persona. Questo gli permette, come lui stesso afferma, di concentrarsi in alcuni dettagli che magari non aveva concordato con l’operatore. Deakins spesso preferisce la camera fissa anziché a mano, per garantire riprese stabili che restituiscono una maggiore intimità, permettendo allo spettatore di analizzare tutta l’inquadratura. Per quanto riguarda gli obiettivi favorisce lenti a focale fissa piuttosto che zoom — Le lenti a focale fissa ti costringono a spostare la camera per avere l’angolazione corretta, piuttosto che semplicemente zoomare per ottenere variazioni di inquadratura dallo stesso punto.


Parliamo di un maestro anche nel muovere la camera e fornire un significato intrinseco alla scena. Pensiamo al film Sicario. Determinati spostamenti di camera ci presentano i paesaggi di Juarez (città messicana con più morti giornalieri a livello mondiale) come veri e propri personaggi minacciosi.
Pensiamo poi al più noto Le ali della libertà, quando Andy fronteggia il capitano Byron sul tetto del palazzo. La camera inizialmente inquadra dall’alto per poi scendere e riprendere due prigionieri su un piano inferiore. Questo consente allo spettatore di immaginare il rovinoso salto che avrebbe fatto Andy qualora fosse caduto. Qui c’è anche una rottura della linea dei 180 gradi, regola che disciplina le scene di dialogo per evitare che due persone guardino dalla stessa direzione.

Deakins è un maestro in ogni aspetto, anche nel comporre le inquadrature. Pensiamo a Fargo. La ripresa della strada che si perde tra la foschia tratteggia una linea che rappresenta un viaggio verso il nulla e verso l’incertezza, denominatore comune del viaggio interiore del protagonista. Anche in Fratello dove sei, sempre dei fratelli Cohen, abbiamo l’utilizzo di una linea, ma con significato diverso. Nella ripresa del viaggio dei protagonisti sulle rotaie abbiamo una linea che spezza il fotogramma a metà, dato appunto dalle rotaie, e che restituisce un’idea di speranza per i protagonisti nel loro viaggio.
Il fotografo britannico ha inoltre un modo molto caratteristico di riprendere i dialoghi, dando vita a conversazioni piuttosto intime. Infatti non filma i dialoghi da lontano, utilizzando lunghezze focali lunghe, bensì riprende il dialogo da vicino, utilizzando lunghezze focali corte. È così che immerge totalmente lo spettatore nella conversazione. «What’s the most you ever lost in a coin toss?», la celebre scena nel film cult dei Cohen, Non è un paese per vecchi, ne è la testimonianza. D’altronde perché snaturarsi e perdere pathos. Banalmente, come lui stesso afferma, è così che siamo abituati a conversare: da vicino.

Per quanto concerne l’utilizzo della luce (altra skill che un direttore della fotografia deve saper dominare con destrezza), Deakins vuole un’illuminazione più reale e naturale possibile. Nella scena notturna della rapina al treno in L’assassino di Jessie James, il regista ha pensato a una scena molto cupa, così Roger l’ha illuminata con le sole lanterne e le luci del treno come sorgenti luminose. Non illumina una scena notturna con una lampada ad olio e una luce di rinforzo al di fuori dell’inquadratura. Lui vuole un risultato più autentico, anche per rispondere alle esigenze del regista.
Come lui stesso sostiene, non ha uno stile ben definito, ma lo adatta al film per cui lavora. Iconica, sempre in questo film, l’inquadratura con la silhouette di Jessie James. I profili delle persone in ombra su sfondo illuminato sono un elemento caratteristico dei suoi film. Le silhouette gli permettono di concentrarsi sul paesaggio, su quello che il personaggio sta vedendo o verso quello su cui si sta dirigendo. Predilige l’utilizzo delle “luci pratiche”, non solo come elemento di illuminazione della scena, ma anche come elemento di design.
Come ogni grande artista, anche Roger si ispira a un predecessore storico. Infatti, per quanto riguarda l’illuminazione dei volti, Deakins trae spunto dal pittore Vermir. Il volto dei soggetti viene illuminato da un solo lato, con la luce che a poco a poco degrada in ombra sull’altro lato del viso. In questo modo abbiamo vari livelli di illuminazione per percepire una maggiore profondità della scena. Uno dei principali obiettivi per una buona fotografia infatti è proprio saper replicare nel modo migliore possibile il 3D della realtà, nel limitato 2D cinematografico.

Altra particolarità di Deakins è la gestione dello sfondo rispetto a un soggetto in primo piano illuminato. Se il volto è illuminato a destra e scuro a sinistra, lo sfondo sarà illuminato a sinistra e scuro a destra. Questo sempre per garantire più profondità alla scena. Sempre nel gioco di contrasti, tornando al film Sicario, la luce predominante dei paesaggi è nella scala cromatica del blu. Questo perché, come lui stesso afferma, è il colore della moralità. Cosa può essere più in antitesi in un film che tratta l’efferata crudeltà dei narcos?
Ma finisce qui? No. Roger Deakins è uno dei pochi direttori della fotografia che riprende la singola scena con una sola camera, poiché gli permette di ovviare il problema della diversità di illuminazione. Quando riprendi con più camere l’illuminazione è sempre un compromesso, a cui Roger non vuole scendere. Le rare eccezioni in cui Deakins utilizza più camere sono le scene pericolose con stuntman, molto complesse da ripetere.
Celebri poi le collaborazioni con i registi di fiducia. Nel ’91 cura la fotografia di Barton Fink, da cui inizia la storica collaborazione con i fratelli Cohen che lo porterà fino al più noto Non è un paese per vecchi. Oltre ai Cohen diventa assiduo collaboratore di altri giganti della regia, tra i quali Sam Mendes e Denis Villeneuve. Solo nel 2018, dopo ben 13 nomination, vince l’oscar per il sequel di Blade Runner, e due anni dopo per il film di guerra 1917. Il suo segreto? Come dice lui stesso: «Non esiste una bella fotografia e una brutta fotografia, esiste solo la giusta fotografia per il giusto film».